IL WRESTLING SENZA POLITICA

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Lo showbusiness di quella che oggi chiamano politica ha segnato una nuova tappa mediatica con il confronto tv tra Salvini e Renzi dello scorso 15 ottobre.

Chi ha vinto? Chi ha perso? Ecco il dilemma, per niente shakespeariano, che sta animando gli italiani in queste ore. E tutto questo interrogarsi sulla forma, restituisce perfettamente l’idea di ciò che è diventato il nostro caro Belpaese. A colpire l’interesse della platea mediatica – dunque elettorale – non è stato il contenuto, il merito, la sostanza di ciò che i due hanno detto (?), ma il modo, la forma, l’enfasi e il cipiglio con il quale hanno detto.

La stragrande maggioranza dei nostri concittadini, vittime e carnefici (attraverso il voto) allo stesso tempo di un declino culturale programmato e attuato scientemente dalle classi dirigenti succedutesi negli ultimi 20 anni al governo del nostro Paese, non è più capace di andare al cuore delle cose preferendo – non so quanto consapevolmente – fermarsi alla superficie.

Non che i due abbiano impiegato il loro tempo a confrontarsi su proposte contrapposte per il Paese, intendiamoci. I due Matteo hanno calcato il palcoscenico tv solo per sottolineare le deficienze (intese come mancanze) altrui e magnificare se stessi. Il tutto per una ragione ben precisa: se è questo che attrae la platea, su questo bisogna puntare per costruirsi visibilità, quindi, consenso.

Ma, mi chiedo, ha senso un dibattito cosiddetto politico messo in scena soltanto per innescare una gara puerile a chi ce l’ha più lungo (l’ego)? Che utilità offre al Paese? Quale per i Cittadini? Nessuna.

E allora se non c’è un utile per l’elettorato, bisogna porsi l’antica domanda “cui prodest“?
Alla Rai, certamente, che accende le telecamere per loro, non per rendere un servizio pubblico (che non c’è) ma, semplicemente e prosaicamente, per fare audience, per vendere pubblicità.

Ma giova soprattuto ai due leader sconfitti Salvini e Renzi. Il primo, battuto da se stesso e passato, per proprio delirio di onnipotenza, dal tenere in pugno il Governo a tenere in mano un pugno di mosche; il secondo, afflitto da medesimo male, finito per perdere partito e governo nell’azzardo finito peggio del referendum costituzionale.

I due sfidanti, entrambi vittime di loro stessi nell’epifania parallela delle rispettive cadute, hanno simile fame di riconquistare una centralità mediatica, per perseguire l’identica e parallela strada che porta a Palazzo Chigi. Esigenze comuni, obiettivo comune per i quali si sono fatti sponda a vicenda litigando sul nulla.
Perciò lo scontro tv andato in onda martedì sera, non è stato altro che un gigantesco, mirabolante, professionale match di wrestling: un combattimento simulato e programmato per esaltare al massimo lo spettacolo, non altro.

L’interessata compiacenza del cosiddetto servizio pubblico ha dato in pasto agli italiani, l’altra sera, una buona pièce teatrale, senza riservare alla Politica, non dico un cameo, ma nemmeno un piccolo, piccolissimo, ruolo da comparsa.

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