Silvio Berlusconi tornerà a Napoli questo fine settimana dopo un’assenza durata ben cinque anni. L’occasione è la convention promossa alla Mostra d’Oltremare dai dirigenti azzurri per serrare le fila in vista delle elezioni politiche del prossimo anno. Un appuntamento che simbolicamente è stato chiamato “L’Italia del Futuro”, ma per la verità coincide prima ancora con il futuro di Forza Italia, oramai prosciugata da una inarrestabile esondazione di addii eccellenti, in Campania come in Lombardia e in tante altre regioni.
A Napoli ha fatto rumore l’emarginazione, ultima in ordine di tempo, di Armando Cesaro, ex consigliere regionale con poco meno di trentamila preferenze e rampollo del senatore Luigi Cesaro, che per il coordinatore nazionale Antonio Tajani è di fatto “fuori dal partito”.
Ma se in passato era semplice per la creatura di Silvio Berlusconi rimpiazzare eletti e dirigenti in uscita, oggi, ai tanti e molteplici abbandoni non corrispondono nuovi ingressi, o comunque non in numero sufficiente a quello di chi sceglie altre destinazioni.
Così nel tentativo di rinforzare gli argini è stato deciso di schierare nuovamente il leader carismatico perché Forza Italia è ontologicamente berlusconiana, altrimenti è altro, diventa di colpo un contenitore comune e confondibile, come ce ne sono già tanti che sgomitano provando a farsi largo tra lo zero virgola e un tre percento esistenziale.
Dal 1994 Forza Italia ha sempre coinciso millimetricamente con la figura di Berlusconi, non c’è vita politica per il partito personale e padronale senza l’impegno diretto, costante e tangibile del suo padre e fondatore. Del resto, perché mai Andrea Vantini avrebbe dovuto scrivere “meno male che Silvio c’è”, un refrain liturgico diventato per il popolo azzurro una sorta di padrenostro laico se non avesse chiara l’importanza vitale del cordone ombelicale che ha tenuto indissolubilmente legati i destini del partito con quelli del suo ideatore.
In Forza Italia non potrà mai esserci il tempo della successione, né tanto meno quello della sostituzione del leader, al più dopo Berlusconi è contemplata una liquidazione per fine attività. Non c’è e non ci sarà mai un erede, un delfino da impalmare, non ci sarà mai un Bruto, un colpo di mano correntizio o un Midas come quello che portò Craxi alla guida del Partito Socialista.
A differenza di altri partiti fortemente leaderizzati, a cominciare dalla Lega di Matteo Salvini o da Fratelli d’Italia oggi ai piedi di Giorgia Meloni, Forza Italia ha un destino infausto perché è figlia unica di un padre, oramai segnato dal passare degli anni.
Senza Berlusconi, non certo senza un Cesaro o un Malan, una Ravetto o una Biancofiore, il partito personale e padronale evapora dopo pochi minuti.
Senza Berlusconi Forza Italia inevitabilmente è destinata a confinarsi in una dimensione nebulosa, per nulla attrattiva per le passioni dell’elettorato, ecco perché Tajani e l’attuale classe dirigente hanno necessità di aggrapparsi all’ ologramma di un Capo oramai. La chiamata alle armi per il 20 e 21 maggio serve solo a galvanizzare il popolo azzurro, o meglio ciò che ne resta, dirgli che il loro Goffredo da Buglione è pronto nuovamente a rimettersi in marcia e guidarlo con orgoglio e coraggio nella battaglia, come l’ha fatto nel 1994, poi nel 1996, ancora nel 2001 e nel 2006. E ancora, il Cavaliere non ha esitato a indicare la strada ai suoi crociati nel 2008, nel 2013 e, nonostante una malcelata stanchezza, nel 2018.
Adesso che la prossima e più difficile crociata elettorale è dietro l’angolo Forza Italia è in mezzo a un guado, bloccata e intimorita perché da un lato non riesce e non vuole – per non vivere il trauma di una lesa maestà – guardare al domani senza il suo leader, dall’altro sa bene che senza Silvio il suo potere di persuasione degli elettori scompare in un soffio. Con buona pace dei tanti Cesaro persi lungo la strada.
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