Con la candidatura di Jeb Bush, fratello di George Walker e figlio di George Herbert Walker, nel 2016 sarà la settima volta nelle ultime nove elezioni che un esponente della famiglia texana si presenta per la carica di presidente o di vice [1] in rappresentanza del GOP. Sul versante Democratico, invece, con la candidatura di Hillary Rodman Clinton è la quarta volta nelle ultime sette competizioni presidenziali che i Clinton sono in corsa.
Quindi, la scelta di Jeb e Hillary di puntare unicamente sul nome di battesimo e abbandonare (temporaneamente) il cognome – diretto o acquisito – è per diverse ragioni e sottili distinguo, quasi obbligata.
In questa fase cruciale delle primarie, dove ognuno dei due candidati, anche se partono sicuramente con i favori del pronostico, prova a vincere il prima possibile la concorrenza interna per strappare la nomination nei rispettivi schieramenti, il peso politico delle dinastie famigliari ha una forza a carica negativa.
Jeb non è candidato in quanto figlio e fratello di due presidenti a stelle e strisce.
Hillary non la punta di diamante dei democratici solo per essere la moglie, tradita, di Bill Clinton.
Molto probabilmente, solo dopo aver sconfitto la concorrenza interna e aver strappato la nomination alla candidatura, per entrambi ci sarà una inversione della polarità del peso dinastico e sia Jeb che Hillary coglieranno l’opportunità di recuperare le loro complete appartenenze familiari.
Al momento, però, la necessità di un nuovo e diverso posizionamento nei confronti dell’opinione pubblica e, in parte dei gruppi di interesse diffusi, che dia loro credibilità, autonomia decisionale, leardership riconosciuta e legittimata che si coniughi con il modello americano del politico della porta accanto, ha avuto la meglio.
Hallo Jeb.
Welcome Hillary.
[1] La Repubblica degli oligarchi – Dario Fabbri – in Limes “U.S. Confidential” n. 4/2015 pag. 40