Ci può essere una sola motivazione sensata dietro la frittata fatta del sindaco di Avellino, Vincenzo Ciampi, spalleggiato dai parlamentari pentastellati, nel prendere a noleggio una vela 6×3 mt. e puntare così il dito mediatico contro otto consiglieri comunali rei, a suo dire, di aver impedito con il loro voto il tradizionale concertone di Ferragosto: la consapevolezza che gli avellinesi nella prossima primavera torneranno alle urne per eleggere nuovamente il loro sindaco.
Se così non fosse, saremmo al cospetto di una duplice possibilità: o l’incapacità di costruire un percorso di comunicazione politica e istituzionale strategico – in funzione della condizione istituzionale in cui si trova il Sindaco Ciampi che non ha una maggioranza in Consiglio – oppure, siamo di fronte null’altro che a un foruncolo purulento di improvvisazione e dilettantismo.
L’incapacità emerge plasticamente dall’assenza di una valutazione lungimirante sugli effetti secondari e di ritorno di un qualsivoglia messaggio: l’elettorato, da sempre, pretende e accoglie una visione manichea della comunicazione quando è chiamato a scegliere tra il bianco e il nero, tra il vecchio e il giovane, tra l’antipatico e l’empatico, tra chi è onesto e chi è truffaldino ma, dopo aver scollinato l’incertezza delle urna e proclamato un vincitore, azzoppato o meno, esige e chiede unicamente delle assunzioni di responsabilità ai propri rappresentanti.
La percezione dell’agibilità o meno a governare una città, una regione o il Paese è direttamente proporzionale alla capacità di caricare sulle proprie spalle decisioni, popolari o impopolari, e non certo nel trasferire, al pari di un ragazzino capriccioso, le colpe per un mancato risultato sui propri compagni o avversari.
La strategia piagnona del capro espiatorio non paga all’infinito e soprattutto non è reddituale quando sei chiamato a governare.
La scelta del M5S avellinese di esporre al pubblico ludibrio gli otto consiglieri comunali è la riprova di un sadismo politico che colpisce innanzi tutto il Sindaco Ciampi, sconfessato pubblicamente dalla componente radicale del suo schieramento, ma non di meno è una decisione che mina profondamente la credibilità della classe politica del M5S di essere anche classe dirigente e della sua capacità di saper gestire strategicamente una campagna permanente che ha regole ben precise.
Ha ragione da vendere Marika Borrelli che ci ricorda che “le parole sono sempre più importanti specialmente se rappresentano l’unico strumento rimastoci in quest’epoca di rarefazione dell’attività democratica nelle comunità” (orticalab.it). E le parole quindi non possono, soprattutto quando si governa, essere utilizzate con una logica “instant”, perché in tal caso si confonde – qui si svela, invece, l’improvvisazione e il dilettantismo – il mezzo con il contenuto. Si privilegia ciecamente la presunta forza del mezzo, post social o maxi affissione, derubricando erroneamente il senso, gli effetti e l’opportunità del contenuto: è il come che si antepone al cosa.
Il social, mantra dell’ascesa pentastellata, come mezzo che si sostituisce totalmente al (barboso) contenuto è una pericolosa riduzione di complessità che non aiuta il governo delle società contemporanee, ma al contrario, schiude alla dittatura della disintermediazione, alla ricerca del consenso emotivo prim’ancora del consenso motivato.
Infine, una marginale e piccola considerazione per gli uffici comunali: considerato che non siamo più in campagna elettorale è lecito domandarsi se e da chi sono stati versati gli oneri per la pubblicità come previsto dagli articoli 21, 22 e 23 del regolamento sulle pubbliche affissioni.
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