Ovvero il rischio incompreso di un’ipercomunicazione distruttiva.
Prima o poi ogni leader, mondiale o locale, populista o illuminato, odiato o venerato, si è confrontato con la più classica delle domande esistenziali che hanno affollato le notti di chi ha governato un potere, piccolo o grande che sia: cosa avrò lasciato dietro di me?
Come sarò ricordato dal mio popolo e che diranno di me i posteri?
L’aspirazione a “fare qualcosa” che sia degna di trovare ospitalità nei libri di storia è stata sostituita dall’auto-realizzazione a strappare una voce dedicata su wikipedia: l’ambizione di “passare alla storia” si è diluita in un presentismo che la rete ha esaltato a vantaggio dei “last minute voters” e a danno delle generazioni del futuro.
Il politico (buono) è sempre più oggi un “celebrity leader”, cioè un politico che utilizza “il linguaggio e i canoni comunicativi dello star stystem e della cultura popolare al fine di costruire il consenso”[1] tanto che per alimentare il suo brand si trasforma in poco tempo in un “everyday political celebrity”, cioè in quella particolare specie di politico che non ha “una grande storia da narrare”, perché pur di “trasmettere autenticità e normalità”, in “tutto e per tutto simile ai cittadini da rappresentare”, sono obbligati a raccontare solo le storie del quotidiano”[2].
In questa categoria è iscritto di diritto, Vincenzo De Luca, indiscutibilmente uno dei celebrity leader italiani più seguiti e imitati. Una “fama” cresciuta esponenzialmente in questo semestre pandemico, che gli ha messo su un piatto d’argento una serie di condizioni che hanno finito di esaltare, in una miscela esplosiva, le doti oratorie e affabulatorie, nonché il piglio arrogante e “puntiglioso” del presidente della Regione Campania.
La trappola che De Luca (forse) non vede o che pensa semplicemente di riuscire a scansare, è nascosta nella costrizione a cercare quotidianamente quell’identificazione “sulla base dell’equivalenza con il cittadino medio”, una ricerca di sopravvivenza per lo “Sceriffo’s brand”.
Una rincorsa che rischia di portarlo fuori pista, perché la sua iper-comunicazione si è completamente divorata la politica e la capacità amministrativa: gli ultimi mesi sono stati segnati da un innalzamento dell’asticella che non ha eguali: il “lanciafiamme” per le feste di laurea, il “fratacchione” dedicato alle espressioni facciali di Fabio Fazio, per continuare con i “venditori di cocco” o i “parcheggiatori abusivi” per schernire gli avversari politici, o il “somaro politico che raglia” per apostrofare Matteo Salvini per finire con i “sindaci nullità” coniato per attaccare Luigi de Magistris, in una lista che si allunga, giorno dopo giorno, e che ieri, nella consueta diretta del venerdì pomeriggio[3], si è arricchita di una nuova tragicomica puntata.
“Questa bambina è un OGM, cresciuta dalla mamma con latte al plutonio!”, ha affermato De Luca, senza scomporsi e pagar pegno, per polemizzare contro coloro che hanno criticato la sua scelta di chiudere le scuole e, nel caso di specie, contro una mamma che alla domanda del giornalista ha dichiarato che la propria bambina piangeva perché non poteva frequentare la scuola.
Alla fine di questa pandemia, ma soprattutto al termine della sua quarantennale carriera di rappresentante delle istituzioni, Vincenzo De Luca rischia di esser ricordato dai posteri soltanto per le sue “uscite” fuori registro che per la capacità amministrativa. Il rischio concreto è che il lanciafiamme sarà la più importante realizzazione che lo Sceriffo ci avrà lasciato, un’eredità, al netto del giudizio politico, che non gli rende giustizia, un lascito che lo porterà a essere “indicizzato” non per aver avuto l’intuizione delle “luminarie” salernitane, ma per esser stato il miglior imitatore di Maurizio Crozza.
[1] Donatella Campus “Celebrity Leadership, quando i leader politici fanno le star” in Comunicazione Politica vol. 2/2020, pag. 187, Anno XXI Maggio/Agosto, Bologna, Il Mulino.
[2] Ibidem, pag. 191
[3] https://www.facebook.com/watch/live/?v=825913541504915&ref=watch_permalink