Avellino è la prima città capoluogo della Campania che ha eletto un sindaco pentastellato: Vincenzo Ciampi ha sconfitto con un sonoro 60%, al ballottaggio di domenica 24 giugno, il candidato del centro-sinistra Nello Pizza che si è fermato al 40%.
Ma, contrariamente a quanto si potesse pensare, l’esito del voto irpino era già scritto nel risultato che i due competitor avevano ottenuto al termine del primo turno: la lista del M5S aveva chiuso con il 14,19% mentre il suo candidato sindaco aveva recuperato poco più di 6 punti percentuali (20,22%) dimostrando una forza di penetrazione nell’elettorato indipendente dal traino dei candidati al Consiglio. Dall’altra parte, invece, l’avvocato penalista, candidato dell’ultim’ora del centro-sinistra, aveva raccolto un lusinghiero 42,93% che però lasciava presagire una fragilità pericolosa se rapportato al 53,26% incassato complessivamente dalle sette liste a supporto.
L’analisi del dato elettorale, delle conseguenze politiche, dei significati sociali del voto del capoluogo irpino è competenza della classe dirigente dei partiti, degli studiosi di flussi elettorali e degli appassionati dell’uno o dell’altro schieramento. A me interessa, qui e adesso, osservare la comunicazione realizzata da Pizza e da Ciampi.
Partiamo da Nello Pizza, non perché sconfitto e neanche perché alla vigilia del voto era il favorito ma, unicamente, per il fatto che la sua campagna elettorale era quella più difficile e insidiosa. Nonostante ciò, l’avvocato si è fidato più (e solo) dell’estetica fugace che del valore intrinseco del suo posizionamento: “Amo Avellino. Amala con me”.
Perché il posizionamento pensato per Nello Pizza è stato sbagliato e non l’ha aiutato a intercettare quella fetta di voto d’opinione?
Per una serie di ragioni oggettive e individuali. Le prime erano determinate dalla grave ed errata lettura dello stato dell’arte: le forze politiche e la classe dirigente del centro-sinistra irpino aveva da tempo logorato il suo rapporto di fiducia con i cittadini, l’esperienza amministrativa dell’ultimo quinquennio – a prescindere dai meriti e demeriti del sindaco uscente, Paolo Foti – aveva ulteriormente scavato il fossato e, infine, il Partito Democratico, pietra angolare della coalizione, si era autoflagellato, partendo dalla tragedia e giungendo alla farsa sul congresso provinciale. Tra le seconde, quelle individuali, invece, non si è tenuto conto che Nello Pizza è stato scelto dai soliti e desueti caminetti pre-elettorali, quindi senza un coinvolgimento necessario dal basso da parte di ampie fette di cittadini e, per peggiorare ancora le condizioni di partenza, l’indicazione è giunta a poche ore dalla chiusura delle liste pescando tra le sacche di una società civile che a marzo ha in massima parte votato per l’azzeramento totale della politica tradizionale.
Premesso ciò, l’avvocato avrebbe dovuto necessariamente spingere su un posizionamento di “rottura”, fregandosene pure degli inevitabili mal di pancia dei dem avellinesi, avrebbe dovuto varare una campagna di “opposizione”, di immediata, volgare, tribale, sanguinosa discontinuità con il passato, recente e remoto.
Invece, si è lasciato stregare da un messaggio “leggero, sobrio, fintamente emozionale” che però metteva le corna al sentiment popolare, al vissuto di una comunità piegata e piagata dalla politica impotente.
Ha preferito il solito e “abusato” codice cromato, il verde sempreverde, che ha smarrito il suo valore di colore dell’orgoglio avellinese, in quanto è quest’ultimo a latitare. Al pari, la campagna iniziale non ha trovato specifiche declinazioni per intercettare i micro-target elettorali, la gestione del social è stata abbastanza piatta, poche le campagne sponsorizzate, così come i video e le clip video scelti per raccontarsi alla città.
La mancanza di un’idea forte che riuscisse a dare uno schiaffo sonoro a una comunità stanca e delusa, si è perpetuata anche nell’appendice elettorale dove all’amore iniziale è subentrato un anonimo “Scegli il sindaco” e, ovviamente, come prevedibile i cittadini di Avellino hanno scelto senza riserve e remore.
Sia chiaro, anche con un posizionamento altro Pizza al ballottaggio avrebbe comunque perso ma, forse, una comunicazione diversamente incisiva avrebbe aiutato il candidato del centro-sinistra a superare, al pari della sua coalizione, lo scoglio del 50% al primo turno.
Sull’altra sponda del fiume, la comunicazione da “minimo sforzo e massimo risultato“ di Vincenzo Ciampi che, al ballottaggio, si è adagiato senza colpo ferire sul diffuso senso di frustrazione, sulla necessità terapeutica di annientamento dell’inconsistenza politica dei partiti tradizionali che anche dopo l’onda anomala del 4 marzo ancora non si era ritirata.
Al pentastellato, infatti, è stato sufficiente ri-mettere il dito nella piaga purulenta del familismo amorale meridionale e amplificare due messaggi che da sempre fanno a cazzotti con la voce della coscienza: il primo, “a chi appartieni?” per dare una spinta propulsiva alla voglia di ribellione e, il secondo, “per tutti e non solo per gli amici degli amici” per conferire una legittimazione morale all’abbandono delle clientele.
Ciò a riprova che la comunicazione politico-elettorale è un ecosistema di valori che deve tener conto del contesto e del sistema, per cucire un posizionamento sartoriale a supporto, che non vuole dire bello ma soprattutto efficace.
*Fonte dati: elezioni.interno.gov.it