Perchè nello scontro tra De Luca e Franceschini soccombe il secondo

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Nel consueto video del venerdì pomeriggio il presidente della Regione Campania attacca la Dirigente del Ministero della CulturaAnnalisa Cipollone, colpevole di aver inviato una lettera di contestazioni di ben 18 pagine al Piano Casa e Paesaggio approvato con la legge regionale 31 del 2021.
Ci sono dirigenti che sono comparsi sulla Terra nel paleolitico e che da giovani facevano i graffiti…voi pensate che con le centinaia di dottoresse Cipollone che ci sono nei ministeri saremo in grado di realizzare il Pnrr? Al massimo potremmo farci un brodino vegetale con tutte le Cipollone sparse nei ministeri, rischiamo di non muovere una foglia“.

Quindi, nulla di nuovo per chi conosce il vocabolario deluchiano, anzi, decisamente più sobrio di tante altre occasioni in cui non mancavano a condimento del suo ragionamento le bestie, i farabutti, gli infami, gli imbecilli e gli animali.

A rispondere all’attacco di De Luca è sceso direttamente il Ministro Dario Franceschini che sobriamente ha invitato il presidente della Campania nonché collega di partito, essendo entrambi del Partito Democratico a “chiedere scusa” alla dirigente dileggiata. L’invito di Franceschini, che pur ingenuo non è, non solo è caduto nel vuoto ma ha fornito allo Sceriffo la possibilità di replicare precisando a stretto giro che “nessuno ha offeso nessuno, trovo di una ipocrisia insopportabile l’abitudine a nascondersi dietro il politicamente corretto per non affrontare i problemi di merito, avendo davvero tempo da perdere“.

L’errore marchiano fatto da Franceschini è quello di non aver avuto il coraggio o la lucidità di far replicare direttamente la Cipollone, esaltandone il ruolo di vittima indifesa e, al contempo, di tecnico super partes, di donna competente che non ha bisogno di tutori politici.

Al contrario il ministro è caduto nella trappola del Cavaliere della Rotonda che per difendere la dirigente del Ministero ha finito paradossalmente per toglierle quote importanti di credibilità.

De Luca stravince il confronto comunicativo e percettivo con Franceschini perché il loro rimane nei fatti un duello asimmetrico e non perché quello ministeriale sia un livello superiore a quello regionale, ma per tre diverse ragioni che hanno strettamente a che fare con la reputazione:

  1. la reputazione di amministratore e politico anti-casta sulla quale da decenni poggia la narrazione deluchiana è vincente a mani basse contro i tanti professionisti della politica e della burocrazia;
  2. la reputazione dell’uomo e dell’amministratore del fare schiaccia senza alcun dubbio quella incarnata dalla “politica politicante”, cioè da quei politici che fanno della chiacchiera la loro cifra distintiva;
  3. infine, De Luca gode di una speciale reputazione che dovrebbe far gola a ogni politico: quella di godere di un largo consenso da parte degli elettori. Una condizione ottimale per affrontare i marosi dell’anti-politica dilagante nei quali invece annaspa la maggior parte dell’attuale classe dirigente che siede in Parlamento oramai disabituata a misurarsi con la raccolta della preferenza. Nella necessità di guadagnarsi ogni singolo voto, di strappare dalla sacca dell’astinenza l’elettore sfiduciato, disilluso e totalmente scoraggiato c’è già per il cittadino una sorta di superiorità morale che lo spinge a distinguere il politico eletto dal suo omologo nominato.

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