A differenza di altri leader politici nostrani, anch’essi fortemente carismatici, Vincenzo De Luca ha scelto di presidiare Twitter con un approccio decisamente riduttivistico.
Il profilo di Vincenzo De Luca è stato aperto a febbraio 2010, a ridosso della sua prima e sfortunata candidatura a Presidente della Campania, e oggi dopo undici anni conta appena 122.773 follower, se lo confrontiamo con la sua fanpage Facebook o con i profili Twitter di altri presidenti di regione, e un totale complessivo in undici anni di 5.169 tweet[1]. Le pubblicazioni per lo più rimbalzano i contenuti prodotti per gli altri social, da Facebook a Instagram, ed è assai raro trovare un post pensato e prodotto in via esclusiva solo per Twitter.
La crescita lenta dei follower e l’eterogeneità dei 292 profili seguiti, da Gianfranco Fini a Crozza Meraviglie, da Roberto Formigoni a Gianni Alemanno, sono due ulteriori elementi di prova di un rapporto di convivenza “giusto per” tra De Luca e Twitter.
La marcia bassa innestata riguarda non solo e non tanto la frequenza di pubblicazione, con una media che non supera i due post al giorno quindi decisamente più contenuta rispetto a quella di un Salvini o di un Renzi o di un altro presidente di regione come Luca Zaia, quanto per la strategia di occupazione che è tutt’altro fuorché coerente con la natura stessa della piattaforma di micro-blogging.
Sin dagli inizi, infatti, l’ontologia funzionale del social fondato nel 2006 da Jack Patrick Dorsey, è rimasta strutturalmente legata alla valorizzazione del post status, di conseguenza alla capacità degli utenti di sfidare nella costruzione semantica il limite fisico dei 140 caratteri, diventati 280 da qualche anno, imposti dalla piattaforma nella pubblicazione dei post.
Una sfida di sintesi non solo quantitativa, ma soprattutto qualitativa per gli utenti, tanto che questa specificità di utilizzo e fruizione ha portato negli anni a una selezione darwiniana del pubblico di Twitter, con il mezzo, o meglio la sua funzionalità principale, che ha rigenerato i confini e i caratteri della fanbase mediante una progressiva espulsione o perenne letargo di quella fetta di utenti che invece mal digerivano la sua grammatica. Così, almeno in Italia, Twitter è diventata una sorta di riserva di caccia a tutto vantaggio di quelle élite dell’opinione pubblica, dai giornalisti agli influncer, dai blogger ai politici che per capacità e seguito riescono a costruire e orientare le tendenze giornaliere.
Twitter, per dirla brevemente, è antinomico per funzionalità e per composizione del suo pubblico alla narrazione deluchiana incentrata sull’essere politico anti-sistema, il primo e solo rottamatore delle forme e delle regole istituzionali, di interprete convinto di una forma particolare di disintermediazione che non accetta il dissenso altrui.
A Vincenzo De Luca, fatte rarissime eccezioni, non è mai interessato condizionare o dialogare con gli opinion maker, essere o “scendere” al loro livello, anche perché non ne ha mai avuto bisogno per due motivi: il primo è legato al portato principale della sua campagna permanente ovvero la conquista del consenso che non si ottiene prioritariamente con la promozione delle idee, ma con la crudezza dei fatti.
Il secondo, ancora più pratico, è che De Luca pur senza legittimarli quali interlocutori, è riuscito comunque a farsi inseguire dagli opinion maker, a dettare l’agenda giornaliera del dibattito pubblico, ad anticipare o ribaltare all’occorrenza le polarizzazioni tematiche.
È del tutto evidente, date le semplici ma essenziali regole d’ingaggio di Twitter, che l’attuale presidente della Campania riesce senza sforzi apparenti a viralizzare i propri contenuti unicamente se conserva e perpetua una dinamica di comunicazione da one man show. La capacità istrionica di Vincenzo De Luca, amplificata nei video lanciati come dirette social, si sposa alla perfezione su un social come Facebook, ma è a rischio auto-castrazione se trasferita armi e bagagli su Twitter.
Quando il leone ruggisce ha bisogno di avere davanti a un pubblico (social) che si spaventa, che è desideroso di ammirare la belva pronta a rompere le catene e lanciarsi all’inseguimento della preda di giornata e non certo un pubblico che conosce le regole della savana mediatica, che sa bene che il leone ruggisce molto spesso solo per marcare un territorio, per dimostrare la sua forza e non certo per aggredire l’antilope.
1 Il dato dei follower e del numero complessivo di post prodotti è stato censito il 6 maggio 2021.