Fenomenologia di De Luca ovvero lo Sceriffo del politically incorrect

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La sintesi perfetta che racconta la lunga e variegata parabola del pensiero e del linguaggio deluchiano è dello stesso @vincenzodeluca: “credo di aver dato lavoro ai giornalisti italiani più di Rupert Murdoch”.

Dal 1990, anno della sua prima elezione al Consiglio Comunale di Salerno, chi è di casa dalle parti di Piazza Libertà o del Lungomare Trieste conosce molto bene l’agilità e la tecnica, perfezionate con gli anni, di Vincenzo De Luca nello smarcarsi agevolmente dalle regole dell’etichetta del politicamente corretto per sconfinare nelle praterie dell’iperbole da bar dello sport.

Le sue intemerate settimanali su Lira Tv, (De Luca ha utilizzato come meglio non poteva la tv, la sua essenza mainstream, così come oggi la generazione meet up sfrutta pienamente la rete) sono diventate autentiche perle per gli studiosi o i praticanti della comunicazione politica. In quei monologhi, travestiti alla meno peggio da interviste, si cela e si svela la fenomenologia di De Luca e la sua incessante ricerca dell’assoluto.

Adesso, con il cambio di latitudine che ha condotto lo Sceriffo di via Irno da Salerno a Napoli sono di conseguenza mutati anche i destinatari delle sue invettive: non più cittadini cafoni, imbecilli, animali, idioti e bestie varie ma, i suoi most wanted sono webmaster, tangueri, personagetti, giornalisti pipì, chiattone e bamboline varie.

E, così, negli ultimi due anni il circo mediatico nazional-popolare, da @MaurizioCrozza in giù (o in su, dipende dal grado di considerazione che ognuno riconosce al giornalismo italiano) ha ri-scoperto il vero “Gattuso” della politica, ha amplificato e ripreso il suo ringhiare all’uno o all’altro avversario, amico, conoscente e sconosciuto che ha incontrato nel centrocampo della polemica.

Ma, la verità è che il Presidente della Giunta Regionale della Campania è come il nostro Festival di Sanremo, “perché De Luca è De Luca”, non è mai cambiato, da Salerno, a Roma o a Napoli.

Vecienz’ ha compreso, prima e meglio di Francesco Cossiga, di Mariotto Segni, di Silvio Berlusconi, di Antonio Di Pietro e di Matteo Renzi, ultimo di una lunga scia di rottamatori della Prima e Seconda Repubblica, che per circumnavigare le paludi della crisi di fiducia dei cittadini verso partiti e politici doveva, a prescindere se da uomo di governo o da pirata dell’opposizione, parlare “alla gente” come parla “la gente”.

Il registro linguistico è il principale metro di misura della capacità di rottamare non tanto un avversario ma la sfiducia che il cittadino nutre nei confronti del consigliere o assessore comunale, del sindaco, del parlamentare.

Il suo “chiattona” rivolto indirettamente a @ValeriaCiarambino è forma e sostanza della sua comunicazione, è la rappresentanza del pensiero dominante e maggioritario di noi meridionali (o meglio, campani)  quando in conflitto con una persona sovrappeso avvertiamo il bisogno psichico di vincere la sfida su altri campi e lasciamo spazio alla derisione, denigrazione o al sarcasmo irriverente.

Chi, solo oggi, si scandalizza o sorprende di De Luca ha sempre seguito con sconfinata disattenzione il viaggio trentennale dello Sceriffo del politically incorrect oppure non ha compreso che senza il suo personale registro linguistico De Luca non esisterebbe.

Foto: huffpost.com

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