La solitudine di Matteo

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Il nuovo sindaco di New York, Bill de Blasio, si è presentato alla cerimonia d’insediamento, lo scorso 1 gennaio, senza auto blu ma dopo un viaggio in metro con relativa famiglia a carico, da Brooklyn a Manhattan.

Matteo Renzi, sindaco di Firenze e  neo segretario del PD, è arrivato all’appuntamento con Silvio Berlusconi dopo aver preso prima un treno alla stazione Santa Maria Novella di Firenze e poi da Roma Termini a bordo di un taxi cittadino.

Ma, se negli States ciò è la normalità per un politico e vedere o incontrare il sindaco in metropolitana non sconvolge quasi nessuno, in Italia  la ricerca del “low profile”, di una normalità e quotidianità da parte di un personaggio pubblico e di un politico in particolare, desta purtroppo ancora molto stupore.

E’ il segno della nostra subcultura politica. Senza alcuna distinzione tra destra, centro, sinistra. Il politico è tale se manifesta un privilegio, diversamente è come se il cittadino-rappresentato stentasse a riconoscergli uno status.

Matteo Renzi, che al pari di Berlusconi sta dimostrando di fiutare come pochi cosa ribolle nella pancia degli italiani, ha ben compreso che oltre ad una comunicazione verbale ne esiste un’altra non verbale.

Tra i tanti commentatori, pochi o quasi nessuno, ha notato questa differenza di stile tra Renzi e i suoi predecessori o omologhi.

Il sindaco di Firenze, scientemente e volutamente, ha cassato il codazzo che da sempre siamo abituati a vedere e alimentare alle spalle di un politico.

E’ sufficiente essere un assessore, un presidente di qualcosa, sindaco di un comune medio-grande, anzi meglio un onorevole o senatore per ammirare la propaggine umana, che cresce in considerazione della carica ricoperta, che accompagna il nostro incedere.

Il potere, diceva il divino Giulio, logora chi non c’è l’ha o, parafrasando, la misura del potere, nel Belpaese, si misura dalla lunghezza del codazzo.

Ebbene, Renzi, che punta dritto alla Presidenza del Consiglio, ha strategicamente eliminato con il bianchetto tutte queste suppellettili da Prima e Seconda Repubblica perché ritenute d’intralcio al raggiungimento di uno scopo più alto.

La solitudine di Matteo è una solitudine mirata, costruita con cura, ricercata, enfatizzata ma con leggerezza.

La solitudine di Matteo manda in soffitta in un solo colpo auto blu, scorte, portaborse, portavoce, corsie preferenziali, cognati, affini e stagiste.

La solitudine di Matteo è la misura, tragica, della nostra debolezza culturale.

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