149 commenti, 1 solo coerente al contenuto. La comunicazione politica tra filter bubble e pigrizia cognitiva

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La pervasività dell’algoritmo c’è tutta, è fuor di dubbio.

Così come è più che fondato il rischio che questo apra le porte di una segregazione ideologica per gli utenti. I due sconfinamenti sono, in misura affatto trascurabile, influenzati dalla volontà e capacità critica degli utenti stessi.

Perché questa premessa?

La risposta trova origine nella critica che Gaetano Amatruda ha portato a una mia analisi del 12 luglio sulla “comunicazione politica del centro-destra campano”, con la quale contestava, in particolare, l’utilizzo (a suo dire strumentale) dell’immagine dell’ex presidente della Giunta Regionale Stefano Caldoro posta in apertura della riflessione. Quella foto generava un bias cognitivo per l’utente, come dire “se il centro-destra non comunica bene è Caldoro che non sa comunicare“.

La critica di Amatruda rimane legittima e fondata anche perché recuperando i commenti lasciati agli articoli recenti scritti su questo blog, più del 95% degli utenti è stato sostanzialmente “off topic”, non erano pertinenti con il contenuto ma, di contro, erano la dimostrazione tangibile di come i social network favoriscano la crescita di un tribalismo politico del dibattito pubblico online.

Nel post pubblicato il 25 settembre, “elogio della chiavica” io censivo il posizionamento naturale di Vincenzo De Luca mentre gli utenti si sono confinati nelle due trincee, ovvero i sostenitori avverso i suoi detrattori; in quello del 17 agosto, invece, sottolineavo gli errori di comunicazione del neosindaco di Avellino, Vincenzo Ciampi, mentre gli utenti si sono divisi tra i fan del rinnovamento a trazione pentastellata contro il vecchiume demitiano e cattocomunista. Ancora, nel post e articolo del 12 luglio, le tre squadre in campo, erano alternativamente pro De Luca, contro la coppia Caldoro & De Luca, o solo contro Caldoro; Infine, in quello datato 22 giugno, “Più dei Cinquestelle ha vinto Photoshop”, con il quale facevo notare la tendenza dei candidati a richiedere o eccedere nell’utilizzo di immagini photoshoppate e che utilizzava a supporto due foto di Giorgia Meloni, prima e dopo l’intervento di chirurgia digitale, la maggior parte dei commenti puntavano a una difesa del leader di Fratelli d’Italia, attaccata dai più parti nelle settimane della campagna elettorale per le politiche del 4 marzo proprio per l’utilizzo esasperato di pennello e bacchetta magica.

Se a questi articoli, poi, ne aggiungiamo uno precedente scritto da Giampiero Renzi l’11 gennaio, dal titolo “Civica Popolare, cinica e impopolare” per contestare graficamente il progetto di simbolo elettorale “petaloso” che l’ex ministro alla Salute, Beatrice Lorenzin aveva presentato, abbiamo un totale di 149 commenti di utenti di cui 1 e soltanto 1 rimane pertinente ai contenuti dell’articolo: the winner is Olga Vicinanza che, relativamente all’articolo e post del 12 luglio, ha postato un commento coerente alla matrice del contenuto.

Nonostante sia ampiamente documentato che “gli individui tendono a scegliere articoli di notizie allineate alle loro opinioni politiche –  determinando l’ascesa di eco chambers, in cui gli utenti sono in gran parte esposti a opinioni conformi –  così come, i motori di ricerca, gli aggregatori di notizie e i social network personalizzano sempre più i contenuti attraverso modelli di apprendimento automatico, creando filter bubble in cui gli algoritmi raccomandano automaticamente il contenuto con il quale un individuo è probabilmente d’accordo[1]”- è la pigrizia dell’utente e non solo la potenza dell’algoritmo a generare le distorsioni cognitive”.

Una pigrizia che induce gli utenti, sempre più in rete[2] a fermarsi alla lettura visiva della sola immagine, a cui si attribuisce un senso e un commento per la maggior parte sganciato dal contenuto semantico, perché come ci ricorda Walter Quattrociocchinon è solo una questione di algoritmi, ma di scelte. Facebook non ha colpe, sono gli utenti ad avere un ruolo attivo fin dall’inizio, quando stringono amicizie con persone con opinioni affini[3].

È questa tendenza crescente al risparmio cognitivo, in parte indotta dalla potenza dell’algoritmo e in parte di matrice antropologica, che produce ciò che qualche anno fa Umberto Eco aveva evidenziato, «i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli».


Note bibliografiche

[1] Public Opinion Quarterly, Seth Flaxman Sharad Goel Justin M. Rao, Volume 80, Issue S1, 1 January 2016, pages 298–320, Oxford University Press

[2] Per la Total Digital Audience nel giorno medio a luglio sono stati 34 milioni gli italiani online, il 56,2% della popolazione dai 2 anni in su. www.audiweb.it

[3] M. Pennisi, Come si alimenta la disinformazione online, 2 novembre 2016, intervista Walter Quattrociocchi

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